10.10.06

APPUNTI DI VIAGGIO

APPUNTI DI VIAGGIO

«Assalto» al posto libero
(non proprio in carrozza)

«Einmal ist keinmal». Quello che è accaduto una volta sola è come se non fosse mai accaduto, dice un proverbio tedesco. Nella fattispecie, chi è salito una volta sul treno dei pendolari per Milano è come se non lo avesse mai fatto. Bisogna passarci gli anni ad alzarsi alle 6 di mattina, a sgomitare per agguantare un posto, a soffrire il freddo o il caldo per le bizze dei sistemi di climatizzazione, a trovarsi fermi sui binari senza sapere quando si riparte. E allora si capisce come il lavoro possa essere una conquista quotidiana.
«Einmal ist keinmal», e il cronista su quell’interregionale 2088 c’è salito una volta sola, ieri mattina. Sa che non lo farà più, non domani almeno, e forse neanche tra un mese. Ha visto distinti liberi professionisti e giovani universitari, dipendenti che devono timbrare il cartellino e attempati signori che sui treni hanno passato una vita, uomini e donne. Li ha osservati come in un’istantanea che li fissa immobili nella memoria una volta per tutte. Sa che la scena si ripeterà stamattina e domani, e per gli altri giorni a venire, tutte le settimane, con il freddo dell’inverno e il caldo dell’estate. Si sforza di cogliere il senso di una ripetitività sgradevole. Non è facile. A vederla così, per una volta sola, la scena dell’assalto al treno può suscitare pensieri leggeri, anche di irriverente divertimento. Ma intuisce che a dargli il vero significato è l’implacabile ripetitività.
Il treno 2088 è in perfetto orario, nel casuale lunedì mattina di ottobre. L’aria delle 7.30 è fresca, ma non fredda. In un tempo che fa sentire ancora echi d’estate, pure il popolo dei pendolari arriva puntuale all’appuntamento sul binario 2 della stazione di Brescia. Il convoglio stride, si ferma. La gente è tanta, ma la sosta non ha bisogno di allungarsi più di tanto. Si sale in fretta non per chissà quale strana sollecitudine, solo per garantirsi un posto a sedere che fa arrivare meno stanchi al lavoro.
Bisogna doppiare Ospitaletto, avvicinarsi a Rovato perché si attenui il viavai di chi dura a rassegnarsi e peregrina chiedendo di un posto libero. Ma i sedili non si moltiplicano, e bisogna cercare la sistemazione meno faticosa, appoggiati da qualche parte, attaccati a una maniglia con il giornale che neanche si ha voglia di sfogliare.
La ressa copre le magagne. I sedili tutti occupati sembrano quasi puliti, ma i viaggiatori cercano almeno di non appoggiare la testa. Si vede, però che il treno è stato pulito, sommariamente. Sarà per il lunedì? Sarà che le carrozze sono state utilizzate il giorno prima per il trasporto delle tifoserie del calcio? A volte capita, e chi il treno lo prende tutti i giorni lo sa bene, e lo ripete.
La temperatura, dentro, è quasi piacevole come lo era fuori, sul binario due. Forse il climatizzatore è spento, e si va bene. Il treno corre verso la metropoli senza intoppi. Da qualche tempo è così, e non c’è molta apprensione. Si spera solo che duri. Chi può sonnecchia. Pochi parlano, a bassa voce. Neanche i cellulari squillano, a quest’ora del mattino.
Passa Treviglio, da lì in poi ci s’infila in un collo di bottiglia che può riservare brutte sorprese. Convergono in quel punto altre linee ferroviarie, i convogli si moltiplicano, i binari si affollano e un piccolo guasto può bloccare tutto. Ma il 2088 continua con la sua andatura spedita. Allo scompartimento si affaccia un conduttore. Non chiede i biglietti, ma se qualcuno prosegue per Voghera, il capolinea. Arrivano silenziosi cenni di diniego. Cosa vorrà dire? Chi su quel treno sale abitualmente lo sa. Capisce subito che non continuerà la sua corsa e si fermerà a Milano Centrale. Non c’è più neanche bisogno di spiegare la cosa. Se qualcuno dovesse proseguire scenderà e cambierà treno. E puntualmente, una volta arrivati sotto le grandi volte metalliche della stazione, gli altoparlanti annunciano che il 2088 si ferma lì. Capita spesso, ma i pendolari vanno nella capitale lombarda e fanno spallucce.
L’unica fermata intermedia è a Lambrate, e si arriva in orario. Per molti è la fine del viaggio. Il treno quasi si svuota, e le magagne vengono alla luce. Le macchie sulla tappezzeria dei sedili, la polvere sotto le poltroncine… i pendolari sanno quello che dicono, quando parlano di pulizia.
A continuare verso la stazione centrale sono per lo più studenti universitari. Parlano di lezioni e di professori, di libri e dispense. Hanno altro per la testa, loro, sono giovani e con energie da vendere. Il treno è occasione di stare insieme prima di disperdersi tra le facoltà, e chi affolla le carrozze un anno dopo l’altro fino alla pensione fa parte di un altro pianeta.
Alla fine il viaggio ha termine. Sono le 8.33 esatte, quando le porte si aprono per l’ultima volta e il convoglio si svuota. Tre minuti di ritardo significano una puntualità quasi assoluta. Il lunedì che ha aperto questa settimana è andato bene, tutto sommato. Ora il pensiero dei più è al ritorno, e ai giorni che verranno. Per i pendolari non c’è una volta sola. mi.va.

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